Gli Scacchi, la vita by Garry Kasparov

Gli Scacchi, la vita by Garry Kasparov

autore:Garry Kasparov [Kasparov, Garry]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T07:56:26+00:00


PAROLE DI NIMZOWITSCH: «Perché mai dovrei perdere con questo idiota?».

(attribuito)

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PAROLE DI TARTAKOWER: «Una partita di scacchi è divisa in tre fasi: la prima, quando speri di essere in vantaggio, la seconda quando credi di essere in vantaggio, e la terza, quando sai che stai perdendo!».

PAROLE DI RÉTI: «Nell’idea di scacchi e di sviluppo della mentalità scacchistica abbiamo l’immagine della lotta intellettuale del genere umano».

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Il vantaggio di attaccare

Perfino una pallottola ha paura di chi

ha coraggio.

PROVERBIO RUSSO

Paragonare la vita della scacchiera a quella reale comporta determinati rischi.

Anche se possiamo essere d’accordo sul linguaggio e identificare utili parallelismi, quello che negli scacchi funziona non può essere sempre considerato appropriato altrove, anche se magari fuori dalle sessantaquattro case sortisce comunque gli stessi effetti. Conosco bene il migliore esempio di questo doppio standard: l’aggressività.

Come ho detto, la mia idoneità a muovermi nella politica è stata messa in discussione per lo stile aggressivo con cui giocavo a scacchi. Se attaccanti si nasce e non si diventa, come avrei potuto cavarmela in un ambiente in cui non serve attaccare? Prima di tutto, chiunque di noi è capace di adattarsi a un nuovo ambiente.

Secondo, c’è davvero qualcosa di riprovevole nell’essere un attaccante? È davvero inefficace o è solo impopolare rilevare che essere aggressivi serve nella politica, negli affari e in altri ambiti della vita proprio come negli scacchi?

Mi accorsi di questo paradosso del buon senso comune quando iniziai a migliorare la mia posizione nella classifica dei giocatori di scacchi. Le riviste specializzate esaltavano i miei «scacchi aggressivi» e i miei «impetuosi attacchi». Queste espressioni hanno un significato particolare, quasi sempre positivo, nel mondo dello sport. Nelle nostre squadre del cuore vogliamo attaccanti aggressivi anche se non ci piacerebbe averli come vicini di casa.

Sull’aggressività avevo sentito sagge parole nel 1980, quando a diciassette anni feci parte per la prima volta della squadra olimpionica di scacchi sovietica. Ci eravamo recati a Malta per la gara e, sulla strada del ritorno, ci fermammo due giorni a Roma con le medaglie d’oro che avevamo vinto dopo una dura lotta con gli ungheresi. L’età media della nostra squadra era più del doppio della mia e quindi avevamo programmi per il tempo libero molto diversi. Gli altri ne approfittarono per visitare la città, compresa una puntata in Vaticano, mentre io andai a vedere L’impero colpisce ancora, perché non avrei mai potuto farlo in Unione Sovietica. Non saprei dire quale orientamento spirituale abbiano ricevuto i miei compagni dalla visita in Vaticano mentre io guardavo Yoda mettere in guardia Luke Skywalker contro

«rabbia, terrore, aggressività: sono questi il lato oscuro della Forza». Per essere onesto, a diciassette anni mi sentivo più in sintonia con l’impazienza di Luke che con una mentalità attendista. Non dovevamo forse andare a cercare Darth Vader e proteggere i suoi amici?

Il doppio standard non sempre vale. Si può dare un’accezione positiva all’aggressività dello stile di gestione di un amministratore delegato. Ma quod licet 143

Iovi, non licet bovi 7. L’impiegato medio non può essere aggressivo e anche la sua ambizione può essere vista con sospetto.



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